Prelevare denaro non è evasione!

Prelevare denaro non è evasione!

In passato ho conosciuto Medici ridotti a piangere per non poter ricordare in alcun modo cosa avevano fatto di un prelievo in contanti fatto tre o quattro anni prima. Sì avete letto bene: ho visto con i miei occhi una Collega disperata per essere stata rovinata da un accertamento dell’Agenzia delle Entrate, che le chiedeva conto di diversi prelievi in contanti di alcuni anni prima e di conseguenza elevava multe di diverse decine di migliaia di euro perché la poverina non poteva portare gli scontrini di quanto acquistato o dettagliare in maniera documentata ciò che aveva fatto dei suoi soldi. Altro che fisco equo e giusto, altro che diritti del contribuente. Ora, finalmente, il Giudice delle Leggi riporta un po’ di serenità. Speriamo sia la volta buona!

 

Da DottNet del 27 ottobre 2014:

La Corte Costituzionale dà ragione ai professionisti: non si può presumere un reddito non dichiarato solo perché il prelievo bancario non viene giustificato. E così migliaia di lavoratori autonomi, tra cui i medici, non dovranno più dimostrare che i prelievi effettuati dal bancomat e non documentati non corrispondono “a pagamenti in nero”. Per il Fisco i prelievi di contanti effettuati col bancomat venivano automaticamente considerati compensi in nero, salvo che il professionista non fosse in grado di produrre tutti i documenti relativi alle spese effettuate con tali contanti. Questo vincolo ora è decaduto.

Il Fisco sia più cauto nell’utilizzo delle presunzioni nei confronti dei liberi professionisti. A dirlo è la Corte Costituzionale che, con la sentenza n. 228/2014 depositata il 6 ottobre scorso (clicca qui per leggere la sentenza completa) ha interdetto il Fisco dall’utilizzare le presunzioni riguardanti i prelievi bancari (di cui all’art. 32 del d.p.r. 600/1973) nelle procedure di accertamento nei confronti dei lavoratori autonomi non imprenditori. In contrasto con una consolidata tendenza giurisprudenziale, cristallizzata legislativamente nel 2004, i prelievi ingiustificati operati dai professionisti dai propri conti bancari non potranno più essere automaticamente considerati indubbi sintomi di acquisti in “nero”. Nell’ambito del procedimento che vedeva contrapposti l’Agenzia delle Entrate e gli associati di uno Studio Legale, la Corte è stata invitata dalla Commissione Tributaria Regionale per il Lazio a pronunciarsi sulla costituzionalità della disposizione di cui all’art. 32 comma 1, numero 2), secondo periodo, del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600 (recante “Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi”), così come modificato dall’art. 1, comma 402 lettera a) numero 1) della legge 311/2004, che così dispone: “I dati ed elementi attinenti ai rapporti ed alle operazioni acquisiti e rilevati rispettivamente a norma del numero 7) e dell’articolo 33, secondo e terzo comma, o acquisiti ai sensi dell’articolo 18, comma 3, lettera b), del decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504, sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dagli artt. 38, 39, 40 e 41 se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto ad imposta o che non hanno rilevanza allo stesso fine; alle stesse condizioni sono altresì posti come ricavi o compensi a base delle stesse rettifiche ed accertamenti, se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario e sempreché non risultino dalle scritture contabili, i prelevamenti o gli importi riscossi nell’ambito dei predetti rapporti od operazioni”. I giudici della Consulta hanno dichiarato illegittima la parte della norma che si riferisce ai “compensi”, cioè quella che statuisce l’estensione della presunzione utilizzabile per gli imprenditori – ai quali originariamente la norma era indirizzata – anche ai liberi professionisti.

Se, infatti, nei confronti degli imprenditori può valere la presunzione che i prelievi senza causale né beneficiario siano serviti per l’acquisto di fattori produttivi e quindi per la realizzazione di nuovo reddito, lo stesso non può dirsi delle attività libero-professionali, dove l’elemento organizzativo è minoritario rispetto a quello personalistico del lavoro. Considerando inoltre che i prelievi “non giustificati” da parte dei lavoratori autonomi non imprenditoriali si collocano nell’ambito di un sistema di contabilità semplificato e agevolato – che a sua volta comporta una certa irriducibile promiscuità delle entrate e delle spese professionali e personali –, la Suprema Corte ha ritenuto che questi non possano essere imputati tout-court a operazioni “in nero”, ma vadano valutati caso per caso, ed ha pertanto accolto le censure di violazione dei principi di ragionevolezza e di capacità contributiva proposte dall’organo rimettente. La Consulta fa anche notare che è “arbitrario ipotizzare che i prelievi ingiustificati da conti correnti bancari effettuati da un lavoratore autonomo siano destinati ad un investimento nell’ambito della propria attività professionale e che questo a sua volta sia produttivo di un reddito” e che “la disposizione censurata, se applicata agli anni d’imposta in corso o anteriori alla novella legislativa, comporterebbe per i contribuenti professionisti un onere probatorio imprevedibile e impossibile da assolvere, in contrasto con l’art. 24 della Costituzione e con il principio di tutela dell’affidamento richiamato dall’art. 3, comma 2, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente)”.